Non si vive solo di ordine pubblico o di respingimenti, in un’epoca in cui molti stranieri bussano al nostro Paese per cercare un’ancora di salvezza.
Oltre a ciò, la Chiesa deve trovare nuove forme di presenza nel mondo del lavoro, per essere vicina a quanti vivono sulla propria pelle una crisi economica senza precedenti. Non è detto che si ritorni alla formula dei «preti operai», che avevano scelto di condividere il lavoro e la vita della gente comune negli anni ruggenti. Tuttavia, i preti e le parrocchie devono inventarsi qualcosa di nuovo, per stare dalla parte di chi oggi soffre maggiormente la crisi occupazionale.
Sono questi i due più importanti e inattesi messaggi contenuti nella prolusione con cui ieri il presidente della Cei ha aperto i lavori della 59ª Assemblea dei vescovi italiani. Entrambi i segnali sembrano indicare che è in atto una svolta nella presenza pubblica della Chiesa in Italia.
Che da alcuni anni a questa parte si è molto impegnata per difendere i valori «cari ai cattolici», con le battaglie sui temi della vita, della famiglia, della bioetica, delle limitazioni alla scienza, della difesa dell’antropologia cristiana. Oggi, con il discorso del cardinale Bagnasco, il vertice ecclesiale pare rimettere la questione sociale al centro dell’impegno dei cattolici, riabilitando quel cattolicesimo sociale che ha vissuto un po’ ai margini la recente svolta identitaria e culturale della Chiesa italiana.
Come accade in queste occasioni, il presidente della Cei opera un’analisi a tutto campo della situazione, atta a focalizzare i nodi cruciali del periodo, le sfide che più interpellano la Chiesa. (....)
Ma al di là di questi richiami di contorno, il messaggio più forte che monsignor Bagnasco ha voluto consegnare agli ambienti ecclesiali e a tutto il Paese è stato l’invito a riscoprire i nuovi termini della questione sociale, l’urgenza di un impegno che ha sempre fatto parte della sua storia e che è oggi sollecitato da nuove sfide.
La prima emergenza è individuata nelle conseguenze della crisi economica che si sta vivendo, i cui costi più pesanti sono pagati dall’anello più debole della popolazione, con l’aumento dei licenziamenti, l’inquietudine della cassa integrazione, la fine del lavoro anche per i molti precari di cui sin qui si sono servite molte aziende. Non poche imprese, osserva il cardinale, azionano sbrigativamente la leva occupazionale per far fronte alla crisi in atto, come se si trattasse di «alleggerire la nave di una futile zavorra». Di qui l’invito non soltanto ai responsabili pubblici perché individuino valide soluzioni alla crisi, ma anche alle parrocchie e ai preti di farsi più prossimi a chi vive nel mondo del lavoro, accostando le persone là dove esse lavorano, ascoltandole, dando loro sostegno concreto. E ciò attraverso modi diversi, dalla creazione di sussidi economici all’aiuto nel pagamento dei mutui e delle utenze, dal potenziamento di esperienze di micro-credito all’istituzione di fondi di solidarietà e di garanzia per le famiglie in difficoltà.
La seconda emergenza riguarda la questione migratoria e il disegno legge sulla sicurezza, temi su cui il vertice Cei continua a manifestare la sua contrarietà per le soluzioni che si stanno delineando. Perché impedire - entro certi limiti - a chi è in cerca di sopravvivenza la libertà di emigrare? Che cosa fanno l’Italia e l’Europa per prevenire il fenomeno, per evitare che i figli dei Paesi poveri non siano costretti ad affrontare rischi mortali pur di coltivare una speranza di vita? Qual è il nostro impegno nella cooperazione internazionale? Perché discriminare gli immigrati che possiamo accogliere, invece di favorire una loro adeguata integrazione nelle nostre città?
L’anima più sociale della Chiesa pare dunque riattivarsi in questo momento storico, anche esponendosi con coraggio su questioni che dividono il Paese.
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